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il mondo parla di noi

1 Marzo 2009

Cristina Inganni – Terre

LO STILE DI UN’IMPRENDITRICE NEL SETTORE VINICOLO, CHE NON INSEGUE LE REGOLE DEL MERCATO, MA PRODUCE QUELLO CHE PIÙ LE PIACE, CONTANDO SULLE PROPRIE CAPACITÀ. Facile cadere nella banalità o nella retorica. Una donna imprenditore, una donna che “fa” vino, e dare stura a tutta una serie di luoghi comuni, anche se nobilitati dalle migliori intenzioni. L’antidoto però è di altrettanto facile reperimento: è sufficiente ascoltare Cristina Inganni mentre parla dei suoi progetti, perché ci si concentri sulla sostanza, si dimentichi il formalismo. In una fase della viticoltura italiana che vede quasi esplodere la ricerca dei vitigni autoctoni, le sue scelte sembrano, a un primo esame, andare controcorrente: i grandi risultati li ottiene con Sauvignon, Semillon, Chardonnay, Merlot, Pinot Nero, Riesling ... Ma è immediata la risposta “A mio avviso è più facile identificare il “terroir”, l’identità del territorio, nei vitigni internazionali “, come accade con le persone che da paesi lontani approdano a luoghi che, piano piano, li trasformano, aggiungendo, modificando tratti e modi fino a renderli qualcosa di unico, ibridi carichi di un fascino singolare. E la considerazione non si scontra con la tipicità, anzi “i vitigni autoctoni sono un patrimonio, un patrimonio da tutelare” ma è dal confronto, dalla pluralità delle scelte che possiamo arricchire il mondo del vino. Bello procedere non seguendo pedissequamente il mercato, ora tutti parlano di “vini veri”, di vitigni autoctoni e come sempre accanto a chi ha davvero fatto di queste parole un credo, molti cavalcano l’onda, seguono ciò che può facilmente, e pericolosamente, trasformarsi in moda: “Il mercato è ciclico, io faccio quello che mi piace fare credendo nel mio operato e ricercando spasmodicamente un’identità aziendale, a costo di essere penalizzata dal mercato stesso” Ma cos’è per Cristina Inganni, “l’identità”? Accanto al rispetto per il territorio, per la materia prima, che dobbiamo bene conoscere, è “l’espressione di me stessa, della componente umana, di qualcosa che nasce prima nella testa; trasferendo i miei valori, le mie caratteristiche, ottengo qualcosa di unico e irripetibile”. L’opposto di quei prodotti frutto del processo di McDonaldizzazione, concetto coniato da George Ritzer, che crea modelli riproducibili esattamente in qualsiasi luogo della nostra terra. La creazione di un’identità presuppone una ricerca ininterrotta, senza fine, tesa a ricercare un “nostro ideale”, carica di tensione positiva: un “libero esercizio di stile, libero perché mi piace essere libera, esercizio perché io chiamo esercitazioni i miei vini, stile perché ognuno di noi possiede il proprio”. Ma le singolarità non si fermano all’approccio, seguono il loro corso con la longevità dei prodotti. Bianchi e rossi sono qui realizzati per durare nel tempo, per evolvere e caricarsi di altre sensazioni. Un dramma per i bevitori e gli “spacciatori” dell’ultima annata, specie coi bianchi. Non che nel vastissimo panorama italiano manchino vini da bersi “in giovinezza”, ma ne esistono altri che vengono immolati sull’empio altare dell’ignoranza, nel senso etimologico stretto di non conoscenza, e che trarrebbero grande giovamento dalla nostra capacità di attendere. Purtroppo attesa e pazienza sono spesso parole volgari nel turbinio dei nostri tempi; dimenticando poi che i bianchi godono molte volte di acidità in grado di assicurare evoluzioni non possibili a tanti rossi ... Ma l’opinione pubblica creata da alcuni “media” del vino resta in gran parte ancorata a questi stereotipi. “Gli operatori del settore preparati, che hanno passione e che vogliono davvero creare abbinamenti felici con i propri piatti non cadono in questi preconcetti, purtroppo manca ancora maggiore cultura sull’argomento”. La prova dei fatti si ha degustando un RINÈ 2006, bianco da uve Riesling, Chardonnay e in piccola parte Incrocio Manzoni, da quasi due anni in bottiglia, carico di freschezza e ancora alla ricerca di una sua massima evoluzione “E’ il discorso iniziale, i terreni che abbiamo a disposizione, di medio impasto argilloso, ci danno dei vini strutturati, di buon grado alcolico, di buona mineralità e di elevata acidità, naturalmente longevi ma di non facile bevibilità da giovani, una pecca dal punto di vista del mercato ma questo è ciò che nasce dal- l’interazione tra il suolo e il vigneto e io non faccio che rispettarlo, è la mia scelta”.E l’abbinamento? “Mi piace l’idea di questo vino con primi piatti mediterranei, dal sapore incisivo o con dei pesci importanti anche un poco grassi”. Ci collochiamo in un ambito dove prima ancora di vendere, di proporre un vino, ad essere proposto è un preciso e personale concetto dello stesso, offro, in altre parole, un’identità. (...)   Continua a leggere l'articolo.

Chi é del Vino – Il mio vino Professional

pubblicato il 12 Gennaio 2007
II suo primo amore è stato l’arte poi, per continuare il lavoro del marito, si è dedicata completamente al vino. Le mie due piccole pesti, Lorenzo e Tommaso, si muovono naturalmente in questo mondo, ci crescono dentro. Il modo in cui ci sono entrata io, invece, è molto diverso». Prima l’accademia di Belle Arti, poi il diploma di scenografa: il primo amore di Cristina Inganni è stato l’arte, quello per il vino è arrivato solo più tardi. «Il mio primo marito, Dario Dattoli, aveva fondato quest’azienda agricola tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. È stato lui a iniziarmi a questo mondo». Anche se con il matrimonio comincia ad avvicinarsi al vino, Cristina continua a lavorare in campo artistico, come decoratrice d’interni, finché, nel 1998, la sua vita non riceve un brusco scossone. «Mio marito è mancato improvvisamente durante l’estate, poco prima della vendemmia», ricorda Cristina.

La Cantrina è l’unica tra gli “estremi” – Brescia Oggi

pubblicato il 10 Novembre 2006
Il Garda Classico ristrettissima selezione dei “Vini Estremi” del Merano Wine Festival: la manifestazione, dedicata al top della produzione nazionale, in scena da domani a lunedì 13 novembre nella cornice del Kurkhaus, ha incluso l’ agricola Cantrina di Bedizzole (unica Bresciana) fra le aziende comprese nella sezione “vini prodotti in condizioni estreme in termini di quota, clima, terra e vinificazione. Cantrina, comunque non sarà l’unica a rappresentare la Provincia nella sezione “Top Selected” che secondo i rigorosi criteri del Wine Festival raccoglie il meglio del panorama enoico nazionale, la Lombardia è rappresentata da sei cantine di cui cinque bresciane, si tratta delle franciacortine Bellavista, Cà dl Bosco, il Mosnel, Monte Rosa, oltre a Cà dei Frati in rappresentanza del Lugana.

Cantrina una mini Borgogna – Giornale di Brescia

pubblicato il 25 Ottobre 2005
Quando è stata fondata nel ’90 voleva essere un angolino dell’amata (e invidiata) Bourgogne rubato ai francesi per trapiantarlo nella campagna di Bedizzole. «Mission impossible», diranno, storcendo il naso, quelli che se ne intendono. Eppure i risultati di questa inusuale, minuscola, azienda gardesana sono tutti lì da assaggiare, roteando il bicchiere per ammorbidire l’aggressione dei tannini. Il tanto sole che favorisce Cantrina di Bedizzole e la conseguente ridotta escursione termica, la scarsa quota altimetrica, non impediscono ai vini della azienda agricola Cantrina di fare una splendida figura. Merito forse della cura «pianta per pianta, grappolo per grappolo» prestata alla vite e di una vinificazione fatta sostanzialmente «a mano» nella minuscola cantina che confina con il soggiorno di casa. Così ci capita di assaggiare un Pinot nero in purezza dalla imponente struttura e dalla foltissima tipicità (si chiama Corteccio), non meno sorprendente è il bianco Riné (come le colline alle spalle dell’azienda) che deborda di profumi di frutta e di vaniglia.